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Crisi del credito: Borse, Governi e Banche centrali
 
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7/10/ - Borse, il crollo diventa globale

di Laura Galvagni

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7 ottobre 2008

Lo spettro della recessione, il timore che la crisi finanziaria intacchi anche il sistema industriale, l'excusatio non petita dei governi mondiali sulla garanzia dei depositi bancari (fatto scontato), i dubbi sul piano Paulson e l'attesa di una maggiore coesione a livello europeo. Più alcune ragioni tecniche di non poco conto legate, in principal modo, all'impossibilità di vendere allo scoperto alcuni titoli finanziari. È stato questo mix micidiale di fattori a scatenare il panico su tutte le borse mondiali che hanno vissuto la peggiore seduta degli ultimi 21 anni. La performance di ieri ha riportato infatti alla mente l'ultimo lunedì nero, quello del 19 ottobre 1987, quando il Dow Jones chiuse le contrattazioni con un ribasso del 22,6%: 508 punti in meno e oltre 500 miliardi di dollari bruciati. Ieri solo in Europa sono andati in fumo ben 450 miliardi di euro, che salgono a 2.200 miliardi di dollari se si considerano le principali borse mondiali, con l'indice di volatilità, il Vix di Chicago, che ha toccato il massimo storico sfiorando quota 56, valore superiore al 48-49 registrato in occasione della crisi del '98 e della recessione del 2001-2002. Tutto mentre il Dow Jones segnava prima un personale record negativo perdendo oltre 800 punti e assestandosi sotto i 10 mila, livello che l'indice non toccava dal 2004, salvo poi recuperare e chiudere in calo del 3,58% mentre il Nasdaq è sceso del 4,01% e l'S&P 500 del 3,86%. Performance, comunque, migliori di quelle del Vecchio Continente dove il Dax, complici i timori attorno al salvataggio di Hypo Re (-37%), ha ceduto il 7,07%, il Cac40 il 9,04% (peggiore ribasso dall'88), il Ftse100 il 7,85%, Madrid il 6,06% e Amsterdam il 9,14%. Questo dopo che le borse emergenti hanno accusato il maggiore ribasso degli ultimi 20 anni, con il listino russo (-19,1%) e quello brasiliano (-5,5%) più volte sospesi per eccesso di ribasso.
Sul fronte del mercato dei capitali, in Europa lo spread sui corporate bond investment grade è balzato invece da 204,8 a 217,1 e il costo dei credit default swap sulle obbligazioni junk (ossia lo strumento per assicurarsi dal fallimento dell'emittente) è volato da 610 a 632. Mentre il rendimento di un T-Bond Usa a un anno è sceso all'1,22% (contro il 4,1% del Libor a un mese). In linea con il calo del Treasury a dieci anni il cui rendimento è passato dal 3,6% al 3,46%.

A scatenare le vendite sui mercati, come detto, hanno contribuito alcune ragioni tecniche. L'impossibilità di vendere allo scoperto molti titoli finanziari ha portato molti operatori, hedge fund in testa, ad alleggerire le posizioni sul settore andando a colpire i titoli dove c'era possibilità di manovra e scommettendo al ribasso su indici e opzioni, sfruttando e alimentando il trend negativo. Un trend che ha fatto emergere anche un altro dato rilevante: i volumi relativamente contenuti sulle azioni rispetto a quelli sui derivati. Basta guardare gli scambi sulle banche, il settore più colpito a livello mondiale, e in particolare su Royal Bank of Scotland. Rbs, sotto la pressione anche del taglio del rating da parte di Standard & Poor's (ridotto a A+/A-1 dal precedente AA/A-1+) è crollata del 20,46% con 176 milioni di pezzi trattati, in netto calo rispetto agli oltre 500 milioni di venerdì 19 settembre o ai 400 milioni del 17 settembre. Medesima osservazione si può fare anche su alcuni titoli bancari Usa. A poche ore dalla chiusura gli scambi su Goldman Sachs (-3,1%) non superavano i 3 milioni di titoli passati di mano mentre su Citigroup (-5,1%) erano inferiori ai 15 milioni contro i quasi 40 milioni di venerdì 3 ottobre. Ovviamente, i finanziari sono stati uno dei comparti più toccati dalle vendite, basta registrare il -16% di Commerzbank, il -21,17% di Dexia, il -11,83% di Société Générale o il -6,07% del Banco Santander in abbinata con il -12,1% di Ubs.

Fra i settori più deboli, a picco anche energetici e minerari crollati per effetto del calo del greggio, sceso sotto i 90 dollari al barile. Negli Usa ConocoPhillips è scesa del 9,2% mentre a Londra maglia nera per Eurasian Natural Resources (-23,4%). Pesanti poi il siderurgico (-11,7% Thyssenkrupp), il tecnologico (-16,4% Sap) e i titoli del comparto auto: Daimler (-14,55%) e Continental (-12,6%). Mentre a New York Gm, ai minimi dal 1954, e Ford, il cui rating è stato abbassato da Fitch a CCC, sono crollate rispettivamente del 5,8% e dell'8,9%. In controtendenza, invece, Volkswagen (+5,2%). Perdite contenute, infine, per British Energy (-0,4%).

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